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Cardinal Pell

2019/03/15

In balia dei giudici: ragioni per un foro ecclesiastico

(da "La Nuova Bussola Quotidiana)

Il 25 febbraio 1850 viene approvata nel Regno di Sardegna la legge Siccardi che prende il nome dal guardasigilli dell’epoca Giuseppe Siccardi. Siccardi ottiene la soppressione del foro ecclesiastico, vale a dire l’eliminazione del privilegio del clero di essere giudicato da un tribunale ecclesiale e non da un tribunale civile. Con questa legge trova applicazione anche nel regno sardo un provvedimento che fa regnare l’uguaglianza della legge nei confronti di tutti i sudditi: tutti uguali davanti alla legge. Era ora! Penso che oggi non ci sia nessuno, o quasi, che metta in discussione la bontà di un simile provvedimento.

Però. Però le cose non sono mai tanto semplici. Meno che mai quando sembrano ovvie. Nel 1850 l’abolizione del foro ecclesiastico senza richiedere il consenso della Santa Sede equivale a una dichiarazione di guerra nei confronti della sede romana. Il foro ecclesiastico infatti è garantito dal concordato stipulato fra lo Stato della Chiesa e il Regno di Sardegna. Concordato che non può essere modificato senza un reciproco accordo di entrambi i contraenti. Pio IX è proprio questo che rileva: come mai il regno sardo decide di modificare il concordato senza informare la Santa Sede? Il comportamento sardo è chiaramente un atto ostile quanto ingiustificato nei confronti della chiesa cattolica e del suo stato. Ingiustificato tanto più che il regno di Sardegna, che si presenta al mondo come uno stato modello perché costituzionale e liberale, così facendo viola il primo articolo dello Statuto che definisce la chiesa cattolica “unica religione di stato”.

L’abolizione del foro ecclesiastico è un tassello importante della guerra che il Piemonte sabaudo scatena in Italia contro lo stato pontificio e i cattolici. Cioè contro l’intera popolazione. Subito dopo la sua approvazione serve per mettere in prigione a carcere duro (a pane ed acqua) il vescovo di Torino Luigi Fransoni, vescovo scomodo, reo di obbligare i sacerdoti ad ottenere il nulla osta dell’autorità ecclesiastica prima di presentarsi in tribunale. Negli anni successivi servirà a incarcerare uno stuolo di preti e religiosi colpevoli di aver infranto le leggi dello stato. Colpevoli, per esempio, di essersi rifiutati di cantare il Te Deum in occasione della festa dello statuto. O colpevoli di aver negato l’assoluzione in punto di morte agli scomunicati liberali che non si fossero pubblicamente pentiti del loro operato. Per capire meglio con quale equanimità ed uguaglianza venissero applicate le leggi sabaude conviene tenere presente che, in nome della chiesa cattolica garantita dal primo articolo dello statuto e in nome della libera chiesa in libero stato, viene smantellato e svenduto l’immenso patrimonio religioso, artistico, culturale e caritativo organizzato nei secoli dalla chiesa cattolica in Italia. Aboliti tutti gli ordini religiosi della chiesa di stato, tutti i loro membri vengono cacciati dalle loro case e derubati di tutto, compresi archivi e biblioteche. In nome della giustizia, del progresso e dell’uguaglianza, 57.492 persone vengono private di ogni diritto. A cominciare da quello di scegliere liberamente il proprio stato.

E’ evidente che parlo della legge Siccardi per ragionare sull’oggi. Un cardinale di Santa Romana Chiesa, un uomo di 77 anni, sbattuto in isolamento in prigione dopo un processo farsa durato anni (durante i quali forse si sperava che morisse). Un antico giocatore di rugby abbandonato al suo destino da tutti. O quasi. Calunniato in modo palese da un tribunale che definire civile sarebbe ardito. La bellissima frase “la giustizia è uguale per tutti” serve magnificamente, come tutte le belle frasi, a nascondere la realtà dell’attuale situazione. La persecuzione contro la chiesa cattolica e contro i suoi uomini migliori è aperta. Il gioco al massacro è iniziato. In nome, ancora una volta, dell’uguaglianza. Forse sarebbe il caso di ricordare quanto Paolo scrive nella prima lettera ai corinti: “voi prendete a giudici gente senza autorità nella Chiesa? Lo dico per vostra vergogna!” Forse i tribunali ecclesiastici non sono un retaggio dell’oscurantismo cattolico. Sono solo un mezzo (certamente insufficiente perché è Gesù stesso che profetizza la persecuzione) per evitare che odio anticattolico e amore per i soldi facili frutto di calunnia lascino i cattolici, e in particolare gli ecclesiastici, in balia di un qualsiasi tribunale che applica la legge in modo uguale per tutti. Per tutti i propri amici.

Angela Pellicciari

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Garibaldi a Napoli

2018/11/16

Come Garibaldi a Napoli nel 1860

(da "La Nuova Bussola Quotidiana)

“Aiutare le donne economicamente significa diminuire la loro libertà ad abortire”, questa la sintesi efficace della posizione delle femministe di Alessandria espressa dal presidente del Consiglio comunale, Emanuele Locci, primo firmatario di una mozione pro-vita.

Centocinquantotto anni fà succedeva qualcosa di simile. Alla vigilia della proclamazione del Regno d’Italia, a Napoli, era arrivata la dittatura del libertador Giuseppe Garibaldi che nella sua vita, è vero, aveva fatto anche il commerciante di schiavi (da Canton al Perù), ma che in Italia meridionale si è riscattato facendo crollare un regno marcio, fondato sulla barbarie cattolica. Conquistata la capitale senza colpo ferire perché il giovane ed inesperto re Francesco II di Borbone segue il consiglio del suo ministro dell’interno Liborio Romano (massone colluso con Garibaldi) di lasciare Napoli senza combattere per risparmiarne la distruzione - tanto il tempo gli avrebbe dato ragione -, il nuovo governo garibaldino, dittatoriale in nome della libertà, si mette all’opera per diffondere la moralità in un regno che non la conosceva.

Fra le tante iniziative urgenti, una in particolare mette in mostra l’animo liberale della nuova classe dirigente: si trattava di fare giustizia agli studenti poveri. Si trattava di riparare a un grave torto da loro subito. Il governo borbonico aveva istituito borse di studio per permettere anche ai figli dei poveri di studiare. Quell’immoralità andava sanata. Quell’umiliazione doveva finire. E così il 26 ottobre 1860 il Prodittatore Giorgio Pallavicino e il Ministro dell’interno Raffaele Conforti promulgano il decreto n.189: Decreto col quale il fondo assegnato per soccorsi agli studenti e letterati poveri vien destinato ad altro uso. Questa la motivazione: “Considerando che non vi è niente di più vergognoso che domandare ed accettar limosina sotto il nome di studente o letterato povero” si decide che “I soccorsi agli studenti e letterati poveri sono tolti”. E chissà a chi saranno stati dati.

Angela Pellicciari

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Domus Galilaeae

2018/10/09

Ascolto? Sì, ma di Dio

(da "La Nuova Bussola Quotidiana)

“Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”. Questo è lo Shemà, la preghiera, la preghiera per eccellenza che Israele recita due volte al giorno, la mattina quando si alza e la sera alla fine della giornata. Quando uno scriba domanda a Gesù: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”, Gesù risponde: “Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza” (Mc 12, 28-30).

Ascolta! Amerai! Ascolta! Questo è l’unico comando per la vita. Non ce ne sono altri. Di questi tempi c’è un Sinodo per i giovani. Perché possano esprimere i loro dubbi, le loro necessità, le loro speranze e domande. Ma una sola è la risposta che Israele come la Chiesa hanno dato nel corso dei millenni: “Ascolta, Israele; il Signore è uno”.

Per gli ebrei come per i cristiani la salvezza viene solo dall’ascolto, e, quindi, dall’obbedienza ai comandamenti di Dio. Dio nella sua misericordia ci insegna, ci parla, perché noi, giorno dopo giorno, ascoltando, possiamo seguire le orme dei passi da lui lasciati. Fuori dell’ascolto non ci sono strade. O perlomeno, non ci sono strade che portano alla vita. Non c’è speranza.

Qual è il dramma di oggi? Dei giovani come dei vecchi? Che non ci sono profeti. Che non c’è più nessuno che parli con parole di Dio. E, quindi, non c’è più nessuno che ascolta. Il punto non è che i pastori odano, sentano, l’elenco delle sofferenze, dei sogni, delle disillusioni, dei giovani. Il punto è che i pastori abbiano una risposta. E la risposta non dipende dalle difficoltà o dalle caratteristiche del momento. La risposta vera è eterna: i comandamenti e la Parola di Dio che è Gesù Cristo. Non varia a seconda delle esigenze delle diverse epoche.

Se si privilegia il cosiddetto dialogo, parola di cui non c’è traccia nella Bibbia, se si privilegia l’ascolto delle necessità, dei bisogni, delle angosce e delle speranze dei giovani, come se non si conoscessero già, significa che la Chiesa ritiene giusto adattare ai tempi presenti e alle loro caratteristiche le risposte da dare. Significa che oggi non è più possibile vivere come il Levitico e tutta la Bibbia prescrivono: “Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2). Questo è il comando. E a renderlo possibile c’è la grazia divina.

Io ho avuto la grazia, dopo la dissoluzione del Sessantotto, di incontrare profeti che mi hanno annunciato la verità. Senza sconti. La Chiesa ha bisogno di carismi. Carismi che, come è sempre successo, siano in grado di parlare di Dio alla generazione presente. Se questi carismi non ci sono – o non si vuole riconoscere quelli che ci sono - l’unica cosa da fare non è il dialogo ma la preghiera insistente a Dio perché abbia misericordia della sua Chiesa e “mandi operai per la sua messe”.

Angela Pellicciari

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San Michele

2018/10/01

San Michele e il rosario, un gesto importante

(da "La Nuova Bussola Quotidiana)

In un contesto drammatico, in un tempo in cui il papa era ridotto a “prigioniero in Vaticano” (e lo era alla lettera), quando la massoneria di tutte le logge e di tutti i paesi esultava per aver ridotto Roma e l’Italia a sua colonia, Leone XIII componeva una preghiera in cui chiedeva all’Arcangelo San Michele di farsi difensore della Chiesa e della civiltà da essa scaturita. Nel 1884, qualche mese dopo aver scritto l’Humanum Genus, la sua più dettagliata e vibrante lettera contro la massoneria, il 13 ottobre il papa ha una visione terrificante del demonio all’attacco della Chiesa: è questo il contesto in cui compone una preghiera a San Michele che vuole recitata alla fine di tutte le messe:

“San Michele Arcangelo, difendici nella lotta: sii il nostro aiuto contro la malvagità e le insidie del demonio. Supplichevoli preghiamo che Dio lo domini e Tu, Principe della Milizia Celeste, con il potere che ti viene da Dio, incatena nell’inferno satana e gli spiriti maligni, che si aggirano per il mondo per far perdere le anime. Amen”.

Chi è Michele? E’ “chi è come Dio?”; è colui di cui Daniele scrive: “Il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo”. Leone XIII grida al Gran Principe che salvi la Chiesa dalle mani del suo nemico satanico, impersonato dal pensiero gnostico incarnato dalle logge.

Il 29 settembre, festa dei Santi arcangeli, la Sala Stampa vaticana ha reso noto che il Santo Padre «ha deciso di invitare tutti i fedeli, di tutto il mondo, a pregare il Santo Rosario ogni giorno, durante l’intero mese mariano di ottobre; e a unirsi così in comunione e in penitenza, come popolo di Dio, nel chiedere alla Santa Madre di Dio e a San Michele Arcangelo di proteggere la Chiesa dal diavolo, che sempre mira a dividerci da Dio e tra di noi».

Ai nostri giorni chi sono i nemici contro cui invochiamo la protezione celeste? Della presenza massonica nella Chiesa oggi nulla si sa avendo il magistero smesso di occuparsi dell’argomento dalla morte di Leone XIII nel 1903 (salvo una breve precisazione in cui l’allora Prefetto per la dottrina della Fede, card. Ratzinger, che scriveva con l’esplicito appoggio di papa Wojtyla, riaffermava la piena validità delle condanne pontificie, cfr. Dichiarazione sulla massoneria, 26 novembre 1983).

Quali sono oggi i nemici che insidiano la Chiesa dal di dentro? Contro chi si deve chiamare il cielo in aiuto? Vale la pena di ricordare come tutti gli autori del Nuovo Testamento mettano in guardia contro le dottrine perverse che certamente si insinueranno all’interno del popolo di Dio. Scegliamo alcuni ammonimenti: nella sua prima lettera Giovanni mette in guardia: «Come avete udito che deve venire l’anticristo, di fatto ora molti anticristi sono apparsi», sono usciti di mezzo a noi «ma non erano dei nostri»; Matteo scrive: «Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci»; nel libro degli Atti Paolo scrive: «Perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé»; Pietro nella sua seconda lettera ammonisce: «Ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore che li ha riscattati ed attirandosi una pronta rovina. Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà coperta di improperi». Chiudiamo con Paolo che così profetizza nella seconda lettera a Timoteo: verrà giorno «in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole».

La verità vi farà liberi, dice Gesù. La verità. La verità rivelata. Compresa la verità rivelata sull’amore umano che è quello che lega l’uomo e la donna chiamati con la loro unione sacramentale a partecipare all’opera creatrice di Dio.

Oggi è la verità sul corpo umano e sull’uso che siamo chiamati a farne ad essere messa in discussione. In particolare sembra scomparsa la coscienza della gravità del peccato contro natura. Eppure su questo aspetto la Bibbia è chiarissima. L’Antico come il Nuovo Testamento. E tutta la tradizione con loro. Ci limitiamo a citare due testi: nel Levitico 18,22 si legge: «Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio»; Paolo nella prima lettera ai Corinti scrive: «Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il Regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti… erediteranno il Regno di Dio» (I Cor 6, 9-10).

Certamente oggi sono in molti, dentro e fuori la Chiesa, laici ed ecclesiastici, teologi, religiosi e vescovi, a mettere in dubbio la verità rivelata sulla sessualità. Così facendo si sono separati da Dio e, inevitabilmente, seminando zizzania, hanno confuso e diviso il popolo di Dio.

Fa benissimo papa Francesco a chiamare la Chiesa, tutta la chiesa, alla preghiera. Il rischio è che venga messa tra parentesi la dottrina, cioè la verità rivelata, cioè la condizione che ci rende liberi. Le nostre vite sono in gravissimo pericolo e la vita della società intera è in pericolo insieme a noi.

Angela Pellicciari

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Pelagio

2018/09/07

Quando il Regno delle Asturie salvò la Spagna cristiana

(da "La Nuova Bussola Quotidiana)

Quando l'islam sembrò trionfare in Spagna, la resistenza di un piccolo esercito di guidato da Pelagio, ma soprattutto dalla fede, colse una importante vittoria a Covadonga nel 722 e rese possibile la Riconquista. Una lezione della storia che vale anche per noi oggi.

Da quando mi occupo e scrivo di storia, cioè da venti anni, sono sempre andata controcorrente. La radicalità che mi ha portato, giovanissima, ad aderire al sessantotto, non mi ha più abbandonato. E, lancia in resta, anche se devo combattere contro un esercito di giornalisti, storici, luoghi comuni, forte di documenti e fatti, ho sempre difeso la Chiesa cattolica romana, cui appartengo, dalla valanga di menzogne che le sono state riversate contro, con particolare intensità e violenza dal Cinquecento in poi.

E così, cominciando dal Risorgimento e dalla massoneria, vera anima del Risorgimento, risalendo a ritroso, sono arrivata a Martin Lutero. A dire il vero ho scritto anche un testo sulla storia della Chiesa in cui non ho avuto bisogno di alcuna verve polemica, neanche camuffata. In quel caso lo splendore, l’eroismo delle cose che raccontavo, unite alla potenza dell’aiuto divino, parlavano da sole. Di questi tempi ho cominciato ad occuparmi della storia della Spagna e dell’America Latina. Perché? Perché per motivi personali la vicenda della Spagna mi sta molto a cuore.

E anche perché con la “leggenda nera” sulla colonizzazione spagnola inizia l’attacco in grande stile lanciato in epoca moderna dalle potenze protestanti contro tutto quanto ha nome di cattolico.

Come noi italiani siamo stati condotti a disprezzare la nostra storia (straordinaria e unica!) col mito e la giustificazione del Risorgimento (del paganesimo), risorgimento che ci ha trasformati in un popolo di straccioni, così gli spagnoli sono stati portati a disprezzare l’impresa gigantesca, quasi impossibile a forze umane, che li ha messi in grado di colonizzare un intero continente, immenso e lontano, portando anche in America la splendida cultura romana e la fede nell’uomo-Dio Gesù Cristo vincitore della morte per amore.

La storia della Spagna e della sua straordinaria vicenda è resa possibile dalla forza della fede che non ha mai abbandonato gli spagnoli, nonostante tutto. Qualche cenno per capire a cosa mi riferisco: il regno romano-visigoto è invaso dai mori nel 711 e la conquista avviene senza colpo ferire. Al Andalus ha molto chiaro cosa bisogna fare: bisogna distruggere ogni vestigia della tradizione romana e della fede cattolica. Bisogna che Allah trionfi. Come? Come sempre. Con la violenza indiscriminata. Col terrore.

A resistere è un pugno di uomini che si rifugia sui monti delle Asturie. Il loro capo è Pelagio che diventerà il primo re del regno delle Asturie. Per convincere Pelagio dell’inutilità della sua resistenza i mori fanno intervenire Oppas, l’eretico vescovo di Toledo passato dalla parte dell’islam trionfante. Oppas si rivolge a Pelagio così: “L’intero esercito dei goti non ha potuto resistere alla forza dei musulmani, come puoi resistere tu su questo monte? Segui il mio consiglio, abbandona i tuoi sforzi, e vivrai felice con i tanti benefici che i mori ti daranno”.

Secondo la cronaca redatta circa un secolo e mezzo dopo, Pelagio avrebbe risposto a Oppas in questi termini: “Non hai letto nelle Sacre Scritture che la Chiesa del Signore è come il seme di senape che, piccolo come è, per grazia di Dio diventa più grande di tutti?”; “La nostra speranza è Cristo; questo monte sarà la salvezza della Spagna e del popolo dei goti; la grazia di Cristo ci libererà da questa moltitudine”. Siamo nel 722 a Covadonga (cueva de Nostra Señora, grotta di Nostra Signora). La riconquista comincia con una battaglia combattuta in una sperduta grotta del Picco d’Europa.

La sopravvivenza della Spagna è dipesa dalla fede di Pelagio e dei suoi che, sperando contro ogni speranza, non hanno accettato la perdita della libertà, della propria civiltà, della propria religione, e hanno combattuto.

La cronaca araba, più tardiva di quella Cristiana, racconta l’episodio di Covadonga come fosse un fatterello insignificante e copre di ridicolo Pelagio e i suoi definiti “asini selvaggi”. L’asino selvaggio Pelagio fonda il regno delle Asturie, un regno cristiano, baluardo della religione e della cultura spagnole. La battaglia vinta a Covadonga dà speranza anche a noi oggi in un’epoca in cui sembra perso ogni barlume di umanità.

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Papa Francesco

2018/05/06

Il Cammino Neocatecumenale, a 50 anni dalla sua fondazione a Roma.

Quando dico, come dico, che la mia vita è stata salvata dalla predicazione del Cammino neocatecumenale, dallo splendore della sua liturgia, dall’attesa della veglia di Pasqua recuperata in tutta la forza della sua vittoria sulla morte (col suo lucernario, i suoi battesimi, i suoi canti, il suo spazio dedicato ai bambini e alle loro domande sul perché dell’unicità di quella notte, la tensione nell’attesa del passaggio del Signore), quando constato i frutti sparsi a piene mani dall’obbedienza al comandamento divino sulla santità dell’atto sessuale aperto alla vita, quando vedo che persone capitate per caso alla stessa catechesi, nel corso degli anni, nel corso dei decenni, diventano fratelli che si amano e portano ciascuno i pesi degli altri, quando questo succede in un mondo che, in una direzione esattamente opposta, precipita in un universo di solitudine, di egoismo e di morte, quando vedo e testimonio questo, non sto facendo retorica. Sto solo descrivendo la realtà di cui sono testimone da 47 anni.

“Bisogna fare comunità cristiane come la Sacra Famiglia di Nazareth che vivano in umiltà, semplicità e lode. L’altro è Cristo”, così ha detto la Madonna a Kiko apparendogli l’8 dicembre 1964. Kiko e Carmen, la donna geniale, libera, colta, intuitiva, sapiente, lontana mille miglia da qualsiasi forma di piaggeria, che per cinquant’anni ha condiviso con Kiko l’onere, le fatiche, ma anche la gioia della missione, hanno obbedito: hanno fondato comunità. Comunità vive, con famiglie piene di figli e nipoti, bambini con tanti cugini e tanti zii, gente grata al Signore per i doni ricevuti, persone disposte a fare la volontà di Dio perché testimoni della sua manifestazione nella loro vita, pronte ad obbedire al comando di Gesù: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato”. In un mondo senza Dio, in cui contano solo le ragioni dei più forti, dove impera il dettato gnostico di un relativismo totalitario che vuole imporre a tutti quando e come nascere, come vivere e quando morire, i successi della predicazione di Kiko e Carmen sono stati strabilianti. Come sempre quando si tratta di realtà volute da Dio. Ventunmilatrecento comunità, centoventi seminari con 2300 seminaristi e 2380 presbiteri già ordinati, 216 missio ad gentes in 62 nazioni (ognuna formata da 4 o 5 famiglie coi relativi figli, un presbitero con un socio, alcune sorelle) per un totale di 1.668 famiglie in missione con circa 6.000 figli.

Ieri a Tor Vergata c’è stato un maxi raduno dei fratelli del Cammino provenienti da tutto il mondo per festeggiare col Santo Padre i cinquanta anni di vita dell’esperienza neocatecumenale. In questo contesto di gioia ed allegria il Papa ha inviato 37 nuove missio ad gentes e 25 “comunità in missione” nelle zone più difficili di Roma. Sì, perché se non tutti sono chiamati a diventare preti o itineranti o famiglie in missione, tutti indistintamente sono chiamati ad evangelizzare. E così le comunità più antiche, estratte a sorte, si trasferiscono in zone della città in cui non c’è presenza cristiana, dove più urgente è il bisogno di qualcuno che annunci l’onnipotente amore di Dio a zingari, a musulmani, a uomini che si sono abituati a passare la vita nel degrado e nel nonsenso. A persone sole e senza speranza. Questo trasferimento in zone spesso lontane da quelle di provenienza comporta molta scomodità. Molta fatica nei trasferimenti in mezzo al traffico. Eppure quanti già da tempo vivono questo tipo di esperienza sono contenti di poter mettere la propria vita a servizio dell’evangelizzazione. Alla fine della liturgia e dell’invio dei nuovi missionari, un solenne Te Deum si è levato al cielo cantato a voce piena dall’assemblea dei centomila fratelli di tutti i continenti. La Roma città-mondo in cui ciascuno è a casa propria ha dato ancora una volta splendida prova della sua bimillenaria vitalità ecclesiale.

Angela Pellicciari

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