2016/07/30
L'Italia? O si "pente" o diventerà islamica
(da "La Nuova Bussola Quotidiana)
Due ragazzi che decapitano un prete molto vecchio nella sua parrocchia facendosi filmare ed inneggiando alla vittoria di Allah: difficile negare che si sia trattato di un atto di matrice eminentemente religiosa. Non cercavano né soldi, né potere, era anzi certo che ci avrebbero rimesso la vita.
Per diversi decenni la storiografia di matrice marxista ha accusato l’Occidente e i “crociati” di aver cercato in Oriente feudi, soldi e potere. Era vero l’esatto contrario: i crociati facevano un pellegrinaggio armato in difesa della memoria storica del cristianesimo dall’annientamento che rischiava di subire ad opera dei turchi selgiuchidi, mettendo in conto il gravissimo pericolo che avrebbe corso la loro vita, confessandosi e facendo testamento prima di partire.
Il Dio di Maometto ordina la conquista di tutto il mondo e vuole che gli infedeli si pentano e si convertano altrimenti devono subire una giusta punizione (“la ricompensa di coloro che combattono Iddio e il suo Messaggero e si danno a corrompere la terra è che essi saranno massacrati, o crocifissi, o amputati delle mani e dei piedi dai lati opposti, o banditi dalla terra”, Corano 5,33; “Getterò il terrore nel cuore dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi […] Non siete certo voi che li avete uccisi, è Allah che li ha uccisi”, Corano 8, 12-17): difficile sostenere che chi mette in pratica alla lettera questi comandi – cosa ripetutamente accaduta nel corso dei secoli - stia disobbedendo alla volontà di Allah: santa è la guerra che sottomette gli infedeli (jihad).
Non a caso un grande italiano, il cardinale Giacomo Biffi, rivolgendosi in una nota pastorale alla città di Bologna il 12 settembre 2000, così metteva in guardia le autorità civili sul fenomeno migratorio: «I criteri per ammettere gli immigrati non possono essere solamente economici e previdenziali (che pure hanno il loro peso). Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l'identità propria della nazione. L’Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza un'inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà non deve andare perduto».
In vista di una «pacifica e fruttuosa convivenza», ammoniva Biffi, «il caso dei musulmani va trattato con una particolare attenzione. Essi hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino ad ammettere e praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se di solito a proclamarla e farla valere aspettano prudentemente di essere diventati preponderanti». «Sarà bene che nessuno ignori o dimentichi», proseguiva, che il cattolicesimo rimane «la ‘religione storica’ della nazione italiana».
Apriti cielo! Unanimi furono le reazioni di sdegno di fronte ad un pensiero così evidentemente fanatico, intollerante, oscurantista, reazionario. Chissà cosa scriverebbero oggi gli autori di quelle invettive!
L’Italia che ha ripudiato le sue radici, che ignora i dogmi fondamentali della propria fede, che non ha più cultura perché più nulla è stato insegnato alle nuove generazioni, che vive di politicamente corretto cioè di malattia cerebrale acuta, che ha smesso di fare figli e si interessa solo dei diritti civili intesi come matrimonio omo, utero in affitto, diritto alla dolce morte e compagnia cantando; ha ragione Biffi, questa Italia o si pente delle menzogne anticattoliche di cui si è pasciuta e si converte dall’abominio dell’apostasia o sarà musulmana.
Al seminario della Fondazione Migrantes il 30 settembre 2000 Biffi affermava: «Questa ‘cultura del niente’ (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto».
Continua a leggere ⇢2016/07/24
Shalom Carmen, donna libera e amante di Gesù
(da "La Nuova Bussola Quotidiana)
Grande intellettuale? Certamente Carmen lo è stata. Ma non basta. Perché accanto all’intelligenza, all’immediata percezione dei nodi centrali dei diversi problemi, Carmen ha avuto un’attenta, minuta, costante attenzione alla vita delle singole persone che incontrava. Anche i più lontani da lei. Donna senza barriere ideologiche, senza moralismi, avvicinava tutti con uguale attenzione, semplicità e fermezza. Donna che poteva a volte sembrare dura. Perché mai ha fatto compromessi. E perché diceva sempre la verità, non facendo attenzione a chi aveva davanti, fosse pure l’uomo più potente del mondo. Donna libera.
Libera perché amante di Gesù. Di quel Gesù che l’ha chiamata da bambina alla missione. Che l’ha formata negli anni facendole prendere parte alla sua passione e dandole prova della sua risurrezione. Perché, lo diceva spesso, non si può risorgere se prima non si muore. Chimica, teologa, lettrice indefessa dei padri e dottori della Chiesa come di tutta la letteratura teologica contemporanea, attenta studiosa dei pronunciamenti e documenti pontifici, Carmen, figlia di una famiglia molto ricca, agli inizi degli anni sessanta ha passato due anni in Israele lavorando come cameriera in case di famiglie ebraiche. Di qui l’amore per la terra di Gesù, la conoscenza della vita del Messia a partire dai luoghi e dalle pietre da lui calpestate. La geografia che si fa storia. La storia che si capisce a partire dalla geografia.
La conoscenza di Israele, della liturgia e della letteratura ebraiche, della concreta vita del popolo ebraico, ha segnato non solo la fede di Carmen, ma ha anche cambiato la vita dei fratelli del Cammino che, dietro di lei, hanno scoperto, vissuto e amato le tradizioni che Gesù ha praticato e vissuto come ebreo. “Amante della vita”: questo è il Dio di Israele e questo è il Dio che Carmen ha conosciuto e amato. Proprio per questo ha potuto difendere la vita e la donna che la vita gesta e custodisce. In una delle sue intuizioni più profonde ha capito con larghissimo anticipo che oggi, a essere minacciata, è soprattutto la donna. E proprio grazie alla sua principale caratteristica: la donna possiede la matrice della vita.
Quella vita che Satana vuole distruggere. Per invidia. L’invidia dei demoni per la donna che partorisce figli. Che partecipa con Dio all’opera della creazione. Anche per questo tutte le famiglie del Cammino sono piene di vita. Piene, esuberanti di figli, di nipoti e, quindi, di speranza. L’orrore dell’attacco gnostico contro la vita che oggi si dispiega sotto i nostri occhi, Carmen lo ha visto per tempo e ha risposto: con la Parola di Dio, con la fedeltà alle indicazioni della Bibbia e del magistero. Con la gratitudine a Paolo VI e alla sua eroica enciclica Humanae vitae.
L’idea di scrivere un pezzo su Carmen non è venuta a me. Per l’impossibilità di rendere giustizia a uno spirito gigante come il suo con qualche riga. Perché troppo complessa e ricca è la sua vita trascorsa salvando quanti incontrava. Compresa me. Donna che con grande umiltà e quasi con nascondimento ha fornito le basi liturgiche e dottrinali di quella magnifica realtà che è il Cammino. Mi sono limitata ad accennare ad uno degli aspetti più caratteristici della spiritualità di Carmen: l’amore per le radici ebraiche del cristianesimo.
Per questo chiudo citando alcune delle parole di condoglianza inviate a Kiko dall’influente rabbino americano Jay Rosenbaum, lette da don Francesco Voltaggio al funerale: «Carmen era davvero il cuore del Cammino e la passione e lo spirito che hanno mosso Kiko nel suo annuncio del Signore. Lei è stata una Tzadik –una donna santa e giusta dallo spirito profetico e dallo sconfinato amore per i figli di Dio. É stato un raro privilegio per me averla incontrata alla Domus lo scorso anno e aver sperimentato la Ruach Ha Kodesh, lo spirito di santità, che possedeva in modo unico. Pregherò per Carmen e dirò un Kaddish per lei durante la liturgia. Shalom». Shalom Carmen e grazie.
Continua a leggere ⇢2016/07/13
Politeismo pacifico? Chiedete a Nerone e a Hitler
(da "La Nuova Bussola Quotidiana)
Sul Corriere della Sera di ieri, in un articolo che pure porta finalmente alla ribalta il problema islam, Ernesto Galli della Loggia in un inciso scrive: «Tutti sappiamo che il monoteismo in quanto tale intrattiene un oscuro rapporto con la violenza». La frase è bella. Ma falsa.
Non è vero che i monoteismi in quanto tali intrattengano «un oscuro rapporto con la violenza»: è vero per l’islam che prevede anche la violenza (non oscura, ma esplicita) affinché il nome di Allah sia onorato e rispettato da tutti e in tutto il mondo. Qualche esempio tratto dal Corano, il libro che Allah detta a Maometto (detta, e quindi è difficile pensare che possa essere modificato dal momento che è Dio stesso a parlare e ordinare): «In verità, la ricompensa di coloro che combattono Iddio e il suo Messaggero e si danno a corrompere la terra è che essi saranno massacrati, o crocifissi, o amputati delle mani e dei piedi dai lati opposti, o banditi dalla terra» (Corano 5,33); «Getterò il terrore nel cuore dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi […] Non siete certo voi che li avete uccisi, è Allah che li ha uccisi» (Corano 8, 12-17).
La leggenda del politeismo tollerante nasce in ambito anticristiano: è un modo come un altro per infamare, anche se indirettamente, i cristiani, facendo di tutta l’erba un fascio. Per chiarire quanto tollerante e non violento fosse il politeismo pagano basta citare un brano di Tacito che così racconta la prima persecuzione anticristiana scatenata da Nerone: «Quando andavano alla morte si aggiungevano loro gli scherni: si facevano dilaniare dai cani, dopo averli vestiti di pelli ferine, o si inchiodavano su croci, o si dava loro fuoco, perché ardessero a guisa di fiaccole notturne dopo il tramonto del sole. Nerone aveva offerto per tale spettacolo i propri giardini e celebrava giuochi nel circo, frammischiato alla plebe in abito d’auriga, o prendeva parte alle corse, in piedi sul carro».
Convinto della pacifica positività del paganesimo è Adolf Hitler, che esplicita la sua convinzione in modo chiarissimo ne i Discorsi a tavola: «Il mondo antico aveva i suoi dei e serviva i suoi dei. Ma i preti, interposti tra gli dei e gli uomini, erano servitori dello Stato, perché gli dei proteggevano la Città. Insomma, erano l’emanazione di una potenza che il popolo aveva creata. L’idea di un dio unico era impensabile per quella gente. In questo campo i Romani erano la tolleranza in persona. L’idea di un dio universale non poteva apparir loro che una dolce follia».
Hitler si ripromette di liberare il mondo da ebrei e, a seguire, cristiani. Il presupposto culturale su cui è fondato il suo sogno palingenetico è duro a morire. Non sarebbe ora di farla finita con questo ciarpame anticristiano? Non ha ancora fatto abbastanza danni (soprattutto a noi italiani) la capillare, menzognera, propaganda anticattolica?
Continua a leggere ⇢2016/06/11
La libertà deviata che ha animato Lutero
(da "La Nuova Bussola Quotidiana)
Su You Tube c’è un
Sto in Francia in uno dei seminari in cui insegno storia della chiesa. La mattina devo fare un percorso in macchina e sento la radio. Il 7 dicembre c’era la notizia della vittoria del Fronte Nazionale di Marie le Pen e un coro di commentatori affermava con sicurezza che la repubblica e la democrazia erano in pericolo. Di fronte a questo “pericolo” alcuni candidati socialisti facevano appello alla destra di Sarkosy per unire le proprie forze contro gli antirepubblicani.
In che senso si può sostenere che siano antidemocratiche e antirepubblicane elezioni in cui nessun partito mette in discussione la repubblica e la democrazia? Per capirlo bisogna forse ricorrere alle parole di Hollande. In un paese che ha posto il suo credo nella laicità massonica, in un paese che ritiene che la forza della sua anima, la propria identità, riposi nel disprezzo e nella lotta alla chiesa cattolica, la resistenza nei confronti dell’islam è semplicemente impossibile.
Fa parte della storia della Francia l’attitudine a proiettare verso l’esterno le difficoltà che paralizzano la vita della nazione. Anche ai nostri giorni la storia si ripete. Perché nonostante le roboanti espressioni belliche cui i francesi, a cominciare dall’invasione della Libia, ci hanno abituati, contro l’islam e contro lo stato di sudditanza in cui riduce i non islamici, in Francia non c’è proprio storia. La partita è persa prima di cominciare perché negli ultimi decenni (per certi versi negli ultimi secoli) i francesi sono stati abituati a tollerare (a “rispettare”, dicono loro) ogni tipo di insulto oltre che alla fede cattolica allo steso buon senso. Per chiarire quanto sto dicendo porto qualche fatto che mi hanno raccontato i seminaristi e i sacerdoti con cui lavoro. La scorsa settimana a La Seyne sur Mer, un piccolo centro della Provenza nei pressi di Tolone, in pieno centro, alle 6,30 del mattino, un magrebino con una pietra ha spezzato i piedi della Madonna posta su una colonna al centro della facciata della chiesa parrocchiale (vedi foto), senza che le persone presenti avessero nulla da obiettare. Sempre la settimana scorsa, a Montpellier, alle undici di notte due seminaristi in macchina hanno sorpreso 3 minorenni musulmani che lanciavano pietre contro un lampione: hanno provato a fermarli col risultato che sono stati presi a sassate loro con il parabrezza della macchina andato in frantumi. Denunciato l’episodio alla polizia la non punibilità dei minorenni ha impedito si potesse tutelare l’ordine, il rispetto delle proprietà private e collettive, anche se l’identità dei giovani è nota, come nota è la loro abitudine a lanciare pietre.
A Marsiglia un sacrestano ha sorpreso all’interno di una chiesa due giovani nudi che stavano per fare l’amore: nessun segno di vergogna o di imbarazzo da parte loro, salvo un manifesto fastidio per essere stati interrotti. Un parroco di Tolone ha impedito a un magrebino di urinare dentro la sua chiesa. All’indomani degli attacchi parigini, per esempio a Béziers, i quartieri musulmani hanno festeggiato la carneficina fino a notte inoltrata. I piccoli fatti di cui sono venuta a conoscenza io, ma figurarsi quanti altri ne sono capitati, sono avvenuti tutti nell’arco degli ultimi dieci giorni. Questo stato di intimidazione permanente in cui vive la popolazione non musulmana, la tolleranza dell’inciviltà quotidiana costruita sul mito del multiculturalismo e della laicità repubblicana, sono possibili grazie al sistematico disprezzo per la storia della Francia cattolica, ovunque diffuso a partire dalla scuola. Nei quartieri in cui la presenza musulmana è alta, la scuola repubblicana irride alla tradizione cattolica in tutti i modi, a cominciare, per esempio, dalla celebrazione del carnevale nel giorno del venerdì santo.
Risultato dell’odio per la chiesa è la formazione nel corso dei decenni di enclaves musulmane, quasi piccoli stati nello stato, che, come ovvio, tendono ad uscire dal loro ghetto per conquistare l’intero spazio urbano. L’intera nazione. Era successo allo stesso modo all’epoca della diffusione del credo calvinista: con violenze, intimidazioni, saccheggi delle regioni centro-meridionali resi possibili grazie all’intervento della “internazionale protestante”, gli ugonotti erano riusciti a costruire sul suolo francese un reticolato di città stato rette da illuminati calvinisti, nella prospettiva di trasformare tutta la Francia in una nazione riformata. Al tempo dei ripetuti tentativi dell’islam di prendere piede in Provenza grazie alla pirateria, al tempo della diffusione, sempre in Provenza, del credo e delle violenze catare, come al tempo degli ugonotti, la Francia, nonostante tutto, è riuscita a difendere la sua storia e la sua anima cattoliche. “Se si crede, come nel mio caso, nella Repubblica, arriva il momento in cui bisogna passare per la massoneria”: a stare ai fatti, mettendo la propria fede nella repubblica delle logge, i francesi non hanno fatto un grande acquisto. Hanno semplicemente perso la loro anima.
Continua a leggere ⇢2016/06/11
La libertà deviata che ha animato Lutero
(da "La Nuova Bussola Quotidiana)
Libertà e uguaglianza: le due parole che hanno fatto la storia moderna hanno Lutero come padre. Solo che bisogna intendersi sul loro significato. Libertà? A Lutero interessa quella dei principi. Papa e vescovi non obbediscono alla sua idea di riforma? Bene, vuol dire che la riforma la faranno i principi da lui investiti dell’autorità spirituale. La libertas ecclesiae scompare? Che importa, trionfa il vero vangelo di Gesù Cristo così come insegnato alla suola di Wittenberg, definita propria della “Chiesa cattolica di Cristo”.
L’uguaglianza va ristabilita: sacerdozio universale. Papi, vescovi, abati, religiosi, vanno azzerati. Lutero stabilisce che le ricchezze da loro amministrate (si calcola che la chiesa imperiale possedesse un terzo della ricchezza nazionale) vadano regalate ai principi. I cavalieri si ribellano perché vogliono parte del bottino tanto miracolosamente piovuto dal cielo? I cavalieri vanno combattuti così come i contadini. A loro riguardo Lutero stabilisce: “Chiunque lo possa deve colpire, strozzare, accoppare in pubblico o in segreto, convinto che non esiste nulla di più velenoso, nocivo e diabolico di un sedizioso, appunto come si deve accoppare un cane arrabbiato, perché, se non lo ammazzi tu, esso ammazzerà te e tutta la contrada con te”.
Qualche anno più tardi il più grande rivoluzionario del secondo millennio ammetterà la sua responsabilità nell’eccidio: “Nella sollevazione io ho ammazzato tutti i contadini, tutto il loro sangue è sul mio collo. Ma io lo rovescio su nostro Signore Iddio; egli mi ha imposto di parlare in modo siffatto”. Sì, perché il predicatore della libertà nega il libero arbitrio. Quindi nega la responsabilità individuale e “rovescia” tutto sulle spalle di nostro Signore. Paragonare, come alcuni fanno, Lutero a Francesco d’Assisi è quasi blasfemo.
Per Lutero la libertà è libertà da Roma. Perché a Roma c’è l’anticristo. Questa convinzione è tanto radicata nel monaco agostiniano da ripeterla dal 1520 –praticamente dall’inizio della sua campagna antiromana- fino alla morte. “Asino, cane, re dei ratti, coccodrillo, larva, bestia, drago infernale, escremento del diavolo, porco epicureo”: questi alcuni degli epiteti che Lutero riserva ai successori di Pietro. Lutero affianca l’allegra spensieratezza delle parole alla pesantezza delle immagini. Come tutti i rivoluzionari vuol far nuove tutte le cose, culto compreso. Una spietata iconoclastia purifica le chiese dalle incrostazioni idolatriche del culto cattolico: statue, affreschi, mosaici, croci, oggetti di culto di varia natura, paramenti, tutto distrutto. Se nelle chiese resta il vuoto, nelle case private Lutero vuole siano ben visibili, per la loro preziosa funzione pedagogica, un nuovo tipo di icone progettate in collaborazione con Lucas Cranagh il Vecchio. Si tratta di xilografie che mostrano al popolo, al popolo ignorante che non sa ben orientarsi, quale sia la vera natura del papa, della chiesa cattolica, degli ordini religiosi: immagini oscene, di rara violenza, che serviranno da falsariga ai rivoluzionari francesi.
Lutero uomo della misericordia? A parte quella mostrata nei confronti della chiesa di Roma e dei contadini, c’è anche la misericordia riservata agli ebrei: misericordia che farà scuola nella Germania strappata alla tradizione romana. Tre anni prima della morte, nel 1543, Lutero scrive Degli ebrei e delle loro menzogne e offre ai principi sette “consigli salutari” su come comportarsi nei loro confronti. Ne riportiamo tre:
- primo: “è cosa utile bruciare tutte le loro Sinagoghe, e se qualche rovina viene risparmiata dall’incendio, bisogna coprirla di sabbia e fango, affinché nessuno possa vedere più nemmeno un sasso o una tegola di quelle costruzioni”;
-secondo: “siano distrutte e devastate anche le loro case private. Infatti, le stesse cose che fanno nelle Sinagoghe, le fanno anche nelle case”;
-settimo: “sia imposta la fatica ai Giudei giovani e robusti, uomini e donne, affinché si guadagnino il pane col sudore della fronte”.
Divisione della cristianità, odio per Roma e la sua tradizione, odio per gli ebrei, dilapidazione dell’immenso patrimonio della chiesa tedesca, settarismo, pauperismo, guerre civili, utilizzo spregiudicato della storia ad uso di una propaganda menzognera, totalitarismo fino ad allora sconosciuto nelle nazioni cristiane, disprezzo per il popolo, nazionalismo esasperato. Queste alcune delle conquiste attribuibili alla riforma. Avremmo sperato che fossero i luterani a tornare a Roma, contenti che l’odio verso Pietro, nonostante tutto, non abbia prevalso. Contenti di tornare a casa. Come da qualche anno hanno ricominciato a fare gli anglicani.torto. Personalità dal «fascino addirittura magnetico», che «per alcuni cattolici è già diventato quasi un padre comune della chiesa», Lutero, dopo aver tentato invano di convincere papa e vescovi ad attuare la riforma da lui stesso prefigurata, «dal momento che i vescovi si rifiutavano di procedere», «dovette accontentarsi di un ordinamento d’emergenza».
Continua a leggere ⇢2016/06/09
Se Kasper ci vuole alla scuola di Lutero
(da "La Nuova Bussola Quotidiana)
Il primo giugno è uscito un comunicato congiunto della Federazione luterana mondiale e il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Nella sostanza riprende le linee del comunicato della Sala stampa vaticana del 25 gennaio che annunciava il viaggio del papa a Lund, in Svezia, per “commemorare” i 500 anni della riforma. La novità di giugno – e non si tratta di un particolare di poco conto- è la specificazione che il papa resterà in Svezia un giorno in più per incontrare i cattolici e celebrare con loro un’Eucaristia.
Per capire in che senso la Chiesa cattolica commemori Martin Lutero con l’obiettivo di celebrare “i doni della Riforma” (così afferma il comunicato congiunto), è utile prendere le mosse da un piccolo libro su Lutero recentemente dato alle stampe dal cardinale Kasper (Martin Lutero - Una prospettiva ecumenica, Queriniana). Il libro di Kasper, efficace, chiaro, ben scritto, parte da una tesi di fondo: Lutero aveva ragione, la Chiesa romana torto. Personalità dal «fascino addirittura magnetico», che «per alcuni cattolici è già diventato quasi un padre comune della chiesa», Lutero, dopo aver tentato invano di convincere papa e vescovi ad attuare la riforma da lui stesso prefigurata, «dal momento che i vescovi si rifiutavano di procedere», «dovette accontentarsi di un ordinamento d’emergenza».
Ancora: «L’appello di Lutero alla penitenza» non è stato accolto e «anziché reagire con la disponibilità alla penitenza e con le necessarie riforme, si rispose con polemiche e condanne». Vale la pena di sottolineare ancora una volta il punto di vista di Kasper: «Roma e i vescovi non hanno accolto l’appello di Lutero alla penitenza e alla riforma», e quindi, pur non volendo, Lutero è stato in qualche modo costretto a divenire ciò che è stato: Lutero «divenne il Riformatore, pur non definendosi tale». Lutero dal canto suo «si poneva nella lunga tradizione dei rinnovatori cattolici che lo avevano preceduto. Si pensi soprattutto a Francesco d’Assisi, che con i suoi fratelli volle vivere semplicemente il vangelo e così predicarlo. Oggi si parlerebbe di nuova evangelizzazione».
Kasper ricorda come la vita del monaco agostiniano ruotasse intorno alla domanda: «Come posso trovare un Dio misericordioso? Questo era il problema esistenziale di Lutero». Riforma, penitenza, misericordia, collegamento con lo spirito francescano: Kasper usa queste definizioni per proporre un'azzardata analogia con papa Bergoglio che va a Lund a “commemorare” i cinquecento anni della Riforma, che si pone come riformatore, che sta tutto dalla parte della misericordia e che ha scelto di chiamarsi Francesco.
Devo a Kasper gratitudine perché, leggendo il suo libro, ho finalmente capito cosa significhi l’espressione ecumenismo. Parola che per me era finora rimasta nel limbo della vaghezza e, in fondo, dell’irrilevanza. Adesso invece so cosa significhi e quale progetto sottintenda, almeno per Kasper. Seguiamo il ragionamento del Cardinale: «Per ecumenismo si intende tutto il globo terrestre abitato, dunque universalità invece che particolarità. Si può anche dire: a differenza del cattolicesimo e del protestantesimo, limitati nel loro aspetto confessionale, ecumenismo significa la riscoperta della cattolicità originaria, non ristretta ad un punto di vista confessionale». Deduzione: dal momento che cattolicesimo e protestantesimo esistono uno affianco all’altro, nessuno dei due è universale. Per raggiungere l’universalità si tratta di uscire dalla confessionalità, cioè dalla particolarità delle Chiese, e conquistare l’ecumenicità, nuovo modo per indicare la caratteristica universale del messaggio cristiano. Le Chiese - che sono tutte sullo stesso piano perché tutte ugualmente confessionali, cioè particolari - «devono vivere l’una con l’altra e andare l’una incontro all’altra».
Kasper è convinto che la strada dell’ecumenismo così inteso sia ormai obbligata: un regresso al confessionalismo «sarebbe una catastrofe» perché così facendo non saremmo in grado di contrastare l’ecumenismo secolare «che vorrebbe estromettere il cristianesimo dalla sfera pubblica». Ancora: «Nell’ecumenismo cristiano, perciò, è in gioco l’unità della Chiesa, nel servizio all’unità e alla pace del mondo. Si tratta di un umanesimo universale, che è fondato in Gesù Cristo quale nuovo e ultimo Adamo». L’impianto del ragionamento di Kasper è chiarissimo quanto originale: la Chiesa di Roma non è cattolica perché non è universale. È confessionale. Per riconquistare la cattolicità bisogna che insieme alle altre Chiese dia vita ad una «diversità riconciliata».
Questo però è l'esatto opposto di quanto la Chiesa ha sempre insegnato in duemila anni. Nonostante tutte le eresie e tutti gli attacchi che le sono stati rivolti (da Lutero con estrema violenza) la Chiesa non ha mai perso la consapevolezza di essere cattolica, cioè universale. Chiesa cattolica, apostolica, romana. Non a caso romana: da tempo immemorabile Roma è il mondo (come la benedizione solenne urbi et orbi mostra) e Pietro e Paolo a Roma non fanno che portare a compimento la vocazione romana all’universalità (non c’è più né schiavo né libero, né uomo né donna, né giudeo né greco, scrive Paolo ai Colossesi e ai Galati). La Chiesa cattolica, apostolica, romana, non ha alcun bisogno di recuperare quell’universalità che da sempre la caratterizza e che da sempre è insidiata da altri centri di potere che desiderano imporre sulle ceneri dell’universalità romana un nuovo tipo di universalità.
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