Card. Burke

2017/12/11

La chiesa non è nazionalista

Sul Giornale del primo dicembre il cardinal Burke, descrivendo l’attuale situazione della chiesa, diceva: “per me la confusione è preoccupante. Mi pare quasi che la Chiesa stia diventando un insieme di Chiese nazionali. Paesi confinanti hanno posizioni opposte persino sui sacramenti”.

Per quasi due millenni si è molto insistito sulla caratteristica “romana” della chiesa cattolica. La motivazione è proprio il rischio, serissimo per la comunità dei fedeli, che all’interno del corpo di Cristo che è la chiesa, si insinui il veleno nazionalista. Cristo è venuto per tutti. E infatti la chiesa è cattolica come l’etimologia dell’aggettivo specifica. La cattolicità della chiesa è sottolineata con forza dall’aggettivo “romana”, al punto che il tradizionale, solenne messaggio, che il papa pronuncia il primo di ogni anno, è rivolto urbi et orbi, alla città e al mondo. Alla città perché Roma, da sempre, è il mondo. La storia su questo punto è chiara. Fin dal primo secolo a.C. è Diodoro Siculo, storico greco, a esplicitarlo con cristallina chiarezza: “tutto il mondo come se fosse una sola città”. La letteratura, la storiografia, la retorica pagana, nel corso dei secoli faranno eco a Diodoro e ripeteranno la stessa cosa: a Roma tutti sono a casa propria perché Roma è il mondo.

Pietro e Paolo, venuti a Roma e qui martirizzati, fondano una città perfettamente universale, che realizza appieno l’aspirazione imperiale romana: nella nuova Roma non c’è differenza fra schiavi e liberi, fra uomini e donne, fra circoncisi e incirconcisi, come ripetutamente scrive Paolo alle comunità da lui fondate. Tutti sono uno in Cristo Gesù. Nel corso del tempo in molti hanno provato a cambiare le cose sottraendo a Roma la sua universalità. Costruendo, sulle ceneri di quello romano, un nuovo potere universale.

Così è stato per Costantinopoli, la seconda Roma, così per Maometto (non è un caso che da quasi mille e cinquecento anni l’islam punti ad arrivare a Roma), così per la Francia all’epoca di Avignone, così per la Wittenberg di Lutero, così per la Francia di Napoleone (che addirittura trasforma Roma in territorio francese). I nemici della chiesa hanno sempre cercato di far diventare Roma qualcosa di diverso da quello che era. Così, grazie al risorgimento, Roma non è più stata Roma, ma una semplice capitale di uno staterello nazionale. Roma? Capitale d’Italia.

In epoca moderna il pensiero illuminato ha descritto con chiarezza quale fosse la migliore arma per attaccare e distruggere quella roccia cattolica che restava salda nonostante i tanti attacchi nemici. Quella corte romana che resisteva, unica, alla volontà di potenza della gnosi al potere. Citiamo un esempio eloquente: Federico II, despota illuminato, in una lettera a Voltaire così prefigura le tappe che avrebbero portato alla scomparsa dell’anomalia cattolica: “si penserà alla facile conquista dello stato del Papa per supplire alle spese straordinarie, e allora il pallio è nostro e la scena è finita. Tutti i potentati d’Europa non volendo riconoscere un Vicario di Gesù Cristo soggetto ad un altro Sovrano, si creeranno un patriarca ciascuno nel proprio stato”; “Così a poco a poco ognuno si allontanerà dall’unità della Chiesa, e finirà coll’avere nel suo regno una religione come una lingua a parte” (il cardinal Pecci, futuro Leone XIII, cita questo documento nella Lettera Pastorale inviata ai perugini nel 1860).

Il cardinale Burke ha ragione. Per la chiesa cattolica il nazionalismo è un pericolo mortale.

Angela Pellicciari

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