2012/06/06

Garibaldi sconosciuto: era schiavista

Sono partiti da Quarto. Lo abbiamo solennemente ricordato anche l’altro giorno. Ma partiti chi? I Mille. Che tipi erano i Mille? “Tutti di origine pessima e per di più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto”. Quale leghista secessionista può infangare in questo modo la gloriosa ed eroica spedizione? Non ci si crederà, ma la risposta è: nessun leghista. Giuseppe Garibaldi in persona.

Viene da dire: da che pulpito! Sì, perché Garibaldi, fra le tante liberazioni compiute, è stato anche commerciante di schiavi. Solo che nessuno lo sa. Lo stesso Garibaldi ha costruito passo dopo passo il proprio mito raccontando nelle Memorie i particolari della sua vita leggendaria. Sappiamo così tutto su come sbarcasse il lunario in America Latina, dopo la fine della rivoluzione quarantottina. Sappiamo che nel 1854 capitanava una nave di nome Carmen, che faceva la rotta Callao-Canton; conosciamo i giorni di traversata, l’approdo esatto, il carico di guano. Non sappiamo cosa trasportasse nel tragitto di ritorno: scaricato il guano, con cosa riempiva la nave? Alla perdita del dettaglio rimedia l’amico armatore, il ligure Pedro Denegri, che racconta: “M’ha sempre portato i cinesi nel numero imbarcato e tutti grassi e in buona salute; perché li trattava come uomini e non come bestie”. Il libro che narra l’episodio (La vita e le geste di Giuseppe Garibaldi, scritto da Vecchj e pubblicato da Zanichelli) ha avuto una sorte curiosa: è scomparso da tutte le biblioteche. Io ne posseggo un esemplare raro, acquistato in una biblioteca antiquaria.

Descritto come novello Cincinnato che, dopo le eroiche gesta, torna alla sua Caprera, “l’anima candida” di Garibaldi di Cincinnato aveva poco. Il fiume di denaro che accompagna la conquista del regno d’Italia a favore dell’1% di quanti l’hanno organizzata, segue anche l’eroe dei due mondi. Così racconta la Civiltà Cattolica in un pezzo di cronaca contemporanea del 1875. Il governo italiano propone di ricompensare Garibaldi con un vitalizio ma l’eroe non ci sta e il 10 dicembre 18774 scrive al ministro Mancini: “Avrei accettato il dono nazionale se non vi fosse di mezzo un governo, che io tengo colpevole delle miserie del paese, e con cui non voglio essere complice”. Il 31 insiste col figlio Menotti: “Le cento mila lire pesandomi sulle spalle come la Camicia di Nesso, ho incaricato Riboli di pubblicare la mia ultima lettera di non accettazione”. Il commento della rivista dei gesuiti è asciutto e laconico: “Passarono men che sei mesi, e tutte queste belle cose andarono in fumo. L’eroe accettò ed indossò la camicia di Nesso sotto forma di cento mila lire annue”. Forse non è inutile ricordare che nel primo dopoguerra, qualche decennio dopo i fatti qui raccontati, quando l’inflazione aveva già falcidiato i risparmi degli italiani, un famoso motivetto cantava: “se potessi avere mille lire al mese”!

E la spedizione dei Mille? Beh, anche qui le cose hanno bisogno di qualche precisazione: l’idea, gli uomini, le munizioni non sono frutto dell’improvvisazione garibaldina, ma della programmata, meticolosa e segretissima organizzazione messa a punto dal duo Cavour-La Farina. Ci sarebbe altro. Molto altro. Ma per oggi basta così.

NEWSLETTER

Iscriviti alla Newsletter

* Campi richiesti
Acconsento all'utilizzo dei miei dati Privacy Policy *